venerdì 4 aprile 2008

"Tutta la vita davanti"




Anatomia di una generazione in continuo restiling


“Tutta la vita davanti” saluta l’ ottimo ritorno di Virzì a una opera di “grande C”:
c come Cinema importante,con un cast che mixa con abilità grandi attori(Valerio Mastrandrea ,Massimo Ghini,Elio Germano)e piacevoli scoperte(la protagonista Isabella Regonese).
C come Commedia,intesa nella sua espressione più nobile;quella che,nel solco della migliore tradizione del nostro cinema, ha saputo tracciare gli affreschi più realistici e penetranti sulla realtà del nostro paese.
Dopo gli altalenanti risultati dei precedenti film, Virzì trova l’ ispirazione e la forma comunicativa adatta a trattare un’ argomento tanto complesso e sfaccettato come quello della situazione dei precari;questione che invade la vita,il futuro,i sentimenti e i progetti di una fetta consistente e variegata di persone,dai venti sino quasi ai quarant’ anni.
Il film,nella sua voluta esagerazione al limite del farsesco, ha il doppio merito di farci ridere,e,allo stesso tempo,sorridere di amarezza.
Ma soprattutto ci fa riflettere sulla stato di salute di questa nostra pseudo- generazione,che si barcamena tra un presente confuso,un futuro sfuocato e un passato ingombrante.
Giunti al giro di boa del quarto di secolo di vita,ci si trova spesso a compiere i primi veri conti con se stessi, con annesse considerazioni su ciò che di davvero significativo si è fatto. In quei momenti è facile cadere nello sconforto, pensando ,ad esempio, che a poco più di venti anni Curzio Malaparte aveva già pubblicato “Viva Caporetto” e Emilè Cioran aveva già scritto il suo capolavoro “Al culmine della disperazione”.
Anche spostando il paragone non a personalità illustri ma a persone comuni,il bilancio non sembra migliorare,se consideriamo che gli appartenenti alla generazione dei nostri genitori,alla nostra età,
avevano gia posto solide basi per il loro futuro,sposandosi,facendo figli,comprando casa, ottenendo un ,oggi chimerico, posto fisso. Tutti traguardi un tempo accessibili a molti, che oggi paiono invece appannaggio di una ristretta, benestante elite; mentre la maggioranza di noi si muove tra inquietudini giornaliere,consapevole di respirare un orizzonte di sterminate possibilità e risorse,ma preoccupata dall’ attribuzione a volte casuale,a volte malevolmente arbitraria(leggasi clientelismi e privilegi da casta quanto mai diffusi) che di queste viene fatta.
Come la pellicola ci suggerisce,nell’ epoca del fastfood e del fastwork,tutto l ‘ esister si permea di un incedere frenetico,al limite della schizofrenia:i ritmi,i valori che dovrebbero rimanere saldi e immutabili,l’ amore stesso assume i tratti di un furtivo e sfuggente “consumo” ,di se e degli altri,e di innaturale uso ed abuso di ciò che è dentro e fuori il nostro mondo.
Nel quadro quasi apocalittico tracciato,rimane però spazio anche per un lieto fine,lo stesso scovato da Virzì nel finale del suo film:la capacità di emergere comunque,realizzarsi e imporsi con le proprie capacità ,anche in mezzo all’ instabilità perenne,tra le pieghe della gerontocrazia e la brutale legge delle raccomandazioni immeritate;la speranza di poter abbracciar una quotidianità scandita da gesti,abitudini e gratificazioni che restituiscano dignità al nostro esser vivere.
Il gusto di raggiungere traguardi,che proprio perché agognati e sofferti,sapranno donare reali e complete soddisfazioni..

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bravo Simo, ottima analisi. Solo una cosa, molto più pedestre, in tutta la vita davanti si vede un memorabile "di dietro"! Quello è meglio anche di un posto fisso...