venerdì 4 aprile 2008

http://it.youtube.com/watch?v=JY12yjTKcjE

"Tutta la vita davanti"




Anatomia di una generazione in continuo restiling


“Tutta la vita davanti” saluta l’ ottimo ritorno di Virzì a una opera di “grande C”:
c come Cinema importante,con un cast che mixa con abilità grandi attori(Valerio Mastrandrea ,Massimo Ghini,Elio Germano)e piacevoli scoperte(la protagonista Isabella Regonese).
C come Commedia,intesa nella sua espressione più nobile;quella che,nel solco della migliore tradizione del nostro cinema, ha saputo tracciare gli affreschi più realistici e penetranti sulla realtà del nostro paese.
Dopo gli altalenanti risultati dei precedenti film, Virzì trova l’ ispirazione e la forma comunicativa adatta a trattare un’ argomento tanto complesso e sfaccettato come quello della situazione dei precari;questione che invade la vita,il futuro,i sentimenti e i progetti di una fetta consistente e variegata di persone,dai venti sino quasi ai quarant’ anni.
Il film,nella sua voluta esagerazione al limite del farsesco, ha il doppio merito di farci ridere,e,allo stesso tempo,sorridere di amarezza.
Ma soprattutto ci fa riflettere sulla stato di salute di questa nostra pseudo- generazione,che si barcamena tra un presente confuso,un futuro sfuocato e un passato ingombrante.
Giunti al giro di boa del quarto di secolo di vita,ci si trova spesso a compiere i primi veri conti con se stessi, con annesse considerazioni su ciò che di davvero significativo si è fatto. In quei momenti è facile cadere nello sconforto, pensando ,ad esempio, che a poco più di venti anni Curzio Malaparte aveva già pubblicato “Viva Caporetto” e Emilè Cioran aveva già scritto il suo capolavoro “Al culmine della disperazione”.
Anche spostando il paragone non a personalità illustri ma a persone comuni,il bilancio non sembra migliorare,se consideriamo che gli appartenenti alla generazione dei nostri genitori,alla nostra età,
avevano gia posto solide basi per il loro futuro,sposandosi,facendo figli,comprando casa, ottenendo un ,oggi chimerico, posto fisso. Tutti traguardi un tempo accessibili a molti, che oggi paiono invece appannaggio di una ristretta, benestante elite; mentre la maggioranza di noi si muove tra inquietudini giornaliere,consapevole di respirare un orizzonte di sterminate possibilità e risorse,ma preoccupata dall’ attribuzione a volte casuale,a volte malevolmente arbitraria(leggasi clientelismi e privilegi da casta quanto mai diffusi) che di queste viene fatta.
Come la pellicola ci suggerisce,nell’ epoca del fastfood e del fastwork,tutto l ‘ esister si permea di un incedere frenetico,al limite della schizofrenia:i ritmi,i valori che dovrebbero rimanere saldi e immutabili,l’ amore stesso assume i tratti di un furtivo e sfuggente “consumo” ,di se e degli altri,e di innaturale uso ed abuso di ciò che è dentro e fuori il nostro mondo.
Nel quadro quasi apocalittico tracciato,rimane però spazio anche per un lieto fine,lo stesso scovato da Virzì nel finale del suo film:la capacità di emergere comunque,realizzarsi e imporsi con le proprie capacità ,anche in mezzo all’ instabilità perenne,tra le pieghe della gerontocrazia e la brutale legge delle raccomandazioni immeritate;la speranza di poter abbracciar una quotidianità scandita da gesti,abitudini e gratificazioni che restituiscano dignità al nostro esser vivere.
Il gusto di raggiungere traguardi,che proprio perché agognati e sofferti,sapranno donare reali e complete soddisfazioni..

venerdì 28 marzo 2008

L' ultima battaglia di Gianfranco



Funari sospeso tra la vita e la morte

Gianfranco Funari è da giorni ricoverato in rianimazione all’ ospedale San Raffaele di Milano. Recatosi in ospedale per alcuni controlli, è stato tradotto in corsia e tenuto per alcuni giorni in coma farmacologico. Il “clochard” dell‘ informazione italiana,o come ama definirsi lui,”il più famoso giornalaio d’ italia, da tempo soffriva per molteplici problemi di salute,provocati anche dall’ ostinato protrarsi di uno stile di vita non proprio salubre,di cui le copiose sigarette,fumate persino coattamente durante alcune dirette televisive,sono il simbolo più evidente. Da tempo difatti,il buon Gianfranco vive in compagnia di ben quattro bypass,mentre dal punto di vista professionale da anni si barcamena,diviso tra l’esilio,neanche troppo dorato,delle sue trasmissioni su Odeon Tv,e le partecipazioni come ospite in varie trasmissioni delle tv generaliste,in cui è spesso chiamato a “recitare” parti forzate,al limite del caricaturale;neanche fosse la reincarnazione della sua stessa,per altro godibilissima,imitazione di Guzzantiana memoria.

Il pensiero che affiora prepotente, in questi giorni di rassegnata attesa, è l’ amarezza per la privazione, per l’ oscuramento quasi sistematico che la “tv che conta” ha applicato a una voce importante,e libera,incapace di adattarsi ad un mondo della comunicazione spesso asservito e complice. La figura di Funari è stata fatta scemare lentamente della sua intensità,ridotta a macchietta nelle tv nazionali;proprio mentre nel suo piccolo angolo d’ espressione odeoniano si mostrava conduttore ancora brillante e lucido,capace di dialogare amabilmente con posizioni tra loro opposte,dai Di Pietro agli Alemanno,dai Travaglio agli Sgarbi,con la stessa integrità ed onesta intellettuale.

Perché di un “pentito di centro sinistra/deluso del centro destra”,come lui si era etichettato, c è sempre bisogno,per affrancarsi dalle tante partigianerie imperanti, e per trovare risposta alle domande dell’” uomo della strada”;perché questo è l’ onesto e genuino approccio alla realtà che Funari ha sempre abbracciato,regalandoci squarci di semplice e quantomai fondamentale verità

Coraggio Gianfranco!!

venerdì 14 marzo 2008

Perchè Obama

Why we can' t?



i (giusti) complessi di inferiorita del nostro sistema-paese

meno di trenta giorni alla chiamata alle urne,ma tutti gli sguardi,i timpani,i ragionamenti,soprattutto degli under40,sembrano rivolti altrove.

Ci appassionano poco le melasse elettorali confezionate in prima e seconda serata dalle solite improvvisate (o fin troppo ben orchestrate) tribune elettorali ,le schermaglie e non-diatribe della tentacolare creatura veltrusconiana, sbadigliamo di fronte ai servizi-panino dei telegiornali,che snocciolano come rosari le dichiarazioni di tutti,alcuni davvero improbabili ,candidati premier.

Ci ridestiamo invece solo di fronte allo “spettacolo” delle primarie statunitensi,e in particolare per una sfida,quella tra i democratici,e, soprattutto per uno dei pretendenti,Obama ,naturalmente..

Le ragioni del diverso interesse generato in noi dalla politica americana,appunto,rispetto alla indifferenza,che spesso facilmente sfoga in disprezzo,che invece quella italiana suscita,e l’ alone di fascino e consensi che in particolare Obama raccoglie, sono argomenti su cui è giusto soffermarsi.

Da tempo sostengo,affiancato da una pletora di illustri amici-pensatori, che l ‘ unico voto davvero utile e significativo,che ci dovrebbe essere concesso, è proprio quello che incorona il presidente americano,a tuttoggi ancora l’ uomo politico più potente del globo, l’ unico in grado di decidere davvero i nodi fondamentali, i percorsi che la storia può intraprendere: guerre e conflitti internazionali,politiche macro-economiche,orientamenti su diritti civili e margini di autonomia delle singole nazioni.

Per questo troverei ben più auspicabile veder approdar nelle nostre città proprio il rutilante carrozzone del match hillary-obama, piuttosto che il pullman di Veltroni, l’ elicottero della libertà o lo yacht della santanchè ; mi piacerebbe veder insieme ai delegati di Illinois e della Georgia,anche quelli della Basilicata e dl Friuli Venezia-Giulia. Finalmente potremmo, forse, sentire di infilare nell ‘ urna un voto davvero decisivo,e soprattutto,di scegliere tra reali e concrete alternative che tali possano essere chiamate…

martedì 11 marzo 2008

La lezione tedesca


L’ estalgia e La riscossa dei figli di una germania minore

I recenti ,sorprendenti e inattesi, successi della cinematografia tedesca,hanno portato alla giusta ribalta autori,istanze e concetti inediti e rivelatori su quello che è lo stato attuale della Germania.

Il successo di tante di queste produzioni,ha però un respiro ben più ampio e profondo di una semplice “nouvelle vague” cinematografica:è infatti istantanea di una situazione sociale,politica e storica profondamente mutata e complessa,di un patrimonio di idee che solo ora torna a manifestarsi,dopo anni di isolamento,volontario o impostogli che sia;è,soprattutto ritratto di una generazione,quella della cosiddetta Estalgia, di ventenni e trentenni capaci di raccontare una Germania a noi pressoché sconosciuta,ma soprattutto di immortalare un vissuto che dopo la caduta del Muro ha reso la loro situazione problematica quanto ricca di ispirazioni poetiche ed esistenziali.

Il film “Goodbye Lenin” del 2003 ha rivelato al mondo la condizione dei ragazzi della Germania dell’ est,il sentimento di totale smarrimento,la perdita di quei pochi,mediocri ma stabili punti di riferimento che erano stati in grado di crearsi tra le trame della propaganda e dei tanti misfatti occultati durante i decenni di controllo sovietico. Uno smarrimento tanto grande da portare al paradosso della mitizzazione della Rdt come unico antidoto alla totale mancanza di altri idoli o ideali a cui aggrapparsi.

Il successo di Goodbye Lenin ha portato anche all ‘ imporsi della Rdt come fenomeno commerciale:canzoni, magliette dell’ epoca diventarono oggetti di culto,in una paradossale rivisitazione storica degli eventi e dei costumi di quell’ epoca in cui persino una macchina come la Trabant (la macchina media dell’ impiegato del catasto della repubblica federale) viene rimpianta come maestoso oggetto di lusso,tanto da diventare protagonista di un romanzo di Falko Hennig, “Trabanten”.

Il ricordo degli anni della Stasi,della Rdt usata dai russi come loro personale fogna a cielo aperto, assume in queste opere letterarie,artistiche e cinematografiche una connotazione straniante,ne esce trasfigurato,mescolato ai ricordi di infanzia degli autori e ,soprattutto, dominato da una sola imperante necessità:quella di non aggrapparsi a una qualche parvenza di identità,di possibilità di aggrapparsi a un dna proprio e originale.

Pur di non piegarsi alla umiliazione di abbracciare tout court lo stile di vita e gli ideali dei “cugini fortunati” dell’ ovest, tanti hanno preferito rimpastare il passato,mistificarlo e mitizzarlo pur di tenerlo ancorato a quel minimo di radici che possono rivendicare.

A questa tendenza di “autoconservazione” si è opposta però una linea più temeraria e coerente,che ha portato opere di grande spessore e coraggio,che hanno saputo affrontare con profondità e tatto i nodi cruciali delle vicende del paese.

Film come “le vite degli altri”,il recente premio Oscar “il Falsario”(produzione austriaca) hanno saputo dare una visione disincantata e realistica del quadro socio-politico in cui il paese versava,tracciando quel filo sotteso che lega la storia non solo tedesca,ma europea e mondiale dal secondo dopoguerra ad oggi. Un cinema ed una letteratura che ha saputo far i conti col proprio passato,con l’ onta incancellabile del nazismo,della quotidiana umiliazione di viver costretti e imprigionati in quello steccato psicologico invalicabile e annichilente, che ancora oggi permane, a dispetto dei mattoni caduti ormai 20anni fa.

In capolavori come “la caduta” è possibile scorgere la capacità di guardarsi indietro non più solo con vergogna e costernazione,ma con la capacità di stabilire un processo critico, di tracciare considerazioni anche dolorose e scomode ,di osservare le zone grigie a molteplici strati che attraversano la storia,di saper convivere con la sua tridimensionalità a dispetto di chi vorrebbe rinchiudere la storia dell ‘ uomo in una schematica,eterna lotta tra bene e male.

È certamente questa una lezione che in Italia, divisi e bloccati come siamo da un coacervo di luoghi comuni, tabù e facili rassicuranti certezze,siamo ancora lontani da apprendere.